Bugatti EB110: una grande storia di passione italiana (video)
Sep08

Bugatti EB110: una grande storia di passione italiana (video)

Difficilmente scrivo articoli in prima persona, soprattutto alle due di notte. Ma quando vedo certe opere d’arte, è come se le mani sulla tastiera scrivessero da sole. Davide Cironi, famosissimo appassionato di auto e noto per i suoi video pieni di passione dove strapazza per bene auto storiche “pure”, crude e alle volte anche ignoranti, ha impiegato sei mesi per raccogliere il materiale e raccontare la storia della Bugatti. Forse in molti di voi non lo sanno, ma Bugatti è stata per alcuni anni Italiana, competamente Italiana, con sede a Campogalliano, vicino a Modena. L’idea venne al presidente Artioli, quando nel 1987 acquisì il diritto di produrre Auto con il nome Bugatti, fondando la Bugatti Automobili Spa. E qui iniziò la leggenda. Artioli, grande appassionato di Bugatti e con la voglia di creare un mito, inizio questa fantastica avventura con un solo obiettivo in testa: creare una supercar talmente all’avanguardia da far impallidire Lamborghini, Maserati e Ferrari. E il bello è che c’è pure riuscito. Artioli infatti non voleva prendere un pianale ed un motore costruito da altre case. Artioli voleva progettare da zero una vettura unica, una vettura che fosse all’avanguardia sotto ogni punto di vista. Per farlo, costruì un grande stabilimento a Campogalliano, vicino a Modena, e chiese l’aiuto di Loris Bicocchi, grandissimo tester e collaudatore di lamborghini, e dell’ingegner Paolo Stanzani, ingegnere celebre per le vetture del toro, soprattutto per la Lamborghini Countach. Da quel momento ogni ogni singolo pezzo e componente della futura supercar fu progettato li, per ottenere il massimo. L’ambiente era talmente pieno di passione che tutto il personale non aveva orari, rimanendo senza problemi oltre l’orario di lavoro, anche sabato e domenica. Il progetto, le aspettative e la passione erano alla base di tutto, con un gruppo talmente coeso e unito che ancora oggi ricorda l’incredibile impresa. Il risultato di quegli anni di progettazione fu la vettura più evoluta, agile e potente in commercio, in grado di stracciare i record di velocità su ghiaccio, grazie all’elevatissima tenuta di strada data della trazione integrale, e di infrangere il record di velocità per vetture alimentate a metano, raggiungendo i 344.7 km/h. Al di la della storia in se, quello che mi ha colpito sono state le emozioni e la passione che Artioli, Bicocchi e Stanzani sono riusciti a trasmettere in questo video, come se quel sogno, quell’impresa unica li avesse segnati per sempre. La voglia di creare qualcosa di nuovo, qualcosa di unico e perfetto che potesse scrivere anche solo una pagina sul libro della storia dell’automobilismo. Qualcosa che potesse trascinare l’intero settore automobilistico italiano e che ispirasse anche Maserati, Lamborghini e Ferrari, e che riuscì ad...

Read More
Alfa Romeo: 65 anni fa la sua prima vittoria in F1
May16

Alfa Romeo: 65 anni fa la sua prima vittoria in F1

Era il 13 maggio del 1950, quando quattro monoposto Alfa Romeo 158 ”Alfetta” scesero in pista a Silverstone, Inghilterra, per la prima gara del primo campionato mondiale di Formula 1. Quel giorno, vinse Giuseppe “Nino” Farina, che si aggiudicò anche il primo “hat trick” della F.1: pole position, vittoria e giro più veloce. E naturalmente, alcuni gran premi dopo, vinse il primo titolo di campione del mondo a fine stagione. Farina vinse la corsa seguito dagli altri piloti Alfa Romeo sul podio: le vetture della Casa milanese dominarono la gara, copione che si ripeterà per tutto il Campionato. Insieme a Farina, erano in squadra Luigi Fagioli, Reg Parnell e Juan Manuel Fangio, astro-nascente argentino e iridato nel ’51 sempre con l’Alfetta. Nel corso della stagione, il trio Farina-Fagioli-Fangio verrà soprannominato dal pubblico “le 3F” e, assieme alle loro Alfa Romeo, terranno alto il nome dell’Italia nell’automobilismo internazionale, in un momento storico delicato per il Paese e per l’Alfa Romeo stessa. Teatro della straordinaria prova di forza del team Alfa Romeo è il “Gran Premio di Gran Bretagna” che si corse sulla pista del Northamptonshire, 40 miglia a nord di Londra. Un tracciato che nasce da un ex aeroporto della Royal Air Force e sarà destinato a diventare uno dei palcoscenici di maggior spettacolo della F1: Silverstone. Dopo la bandiera a scacchi, sventolata tra la Abbey e la Woodcote, Re Giorgio VI si congratulò personalmente con tutti i piloti della “squadra Alfa” per il risultato d’eccezione: pole position (Farina), vittoria (Farina) e gli altri due posti del podio, giro più veloce (Farina) e la testa della classifica occupata per tutto il gran premio. Le monoposto ed il regolamento del 1950 Il regolamento della neonata F1 prevedeva vetture equipaggiate con un motore da 1,5 litri sovralimentato, oppure da 4,5 litri aspirato: la 158 era equipaggiata con un 8 cilindri in linea da 1.479 cc con compressore che, partendo da una potenza di 195 cv nel ’38, nelle sue evoluzioni successive arrivò a Silverstone nel ’50 con quasi 300 CV. Nel 1951, con la “159”, evoluzione della stessa “158”, arriverà a una potenza massima di 425 CV (450 in prova) con lo stesso motore 8 cilindri, grazie a un compressore a doppio stadio e a tutta una serie di altre migliorie. Il regolamento inoltre non esprime un limite di peso per le vetture, né per la quantità di carburante imbarcato. Il dominio della 158 a Silverstone assunse così un elevato valore simbolico per la stessa Alfa Romeo: i successi sportivi dell’Alfetta spinsero la rinascita dell’Alfa, dopo le difficoltà e i danni di una guerra mondiale che aveva inevitabilmente lasciato i suoi segni. L’Alfetta 158 è da considerarsi...

Read More
Le auto che hanno fatto la storia: Jaguar XK120
Jun02

Le auto che hanno fatto la storia: Jaguar XK120

Londra, 1948. La guerra è appena finita e la città cerca di ritornare alla normalità dopo la devastazione bellica. Le Olimpiadi, tenutesi allo stadio di Wembley, hanno visto il trionfo di “Fanny” Blankers-Koen, la “Mamma volante”, vincitrice di 4 medaglie d’oro nell’atletica. Se Londra cerca di tornare alla normalità, anche la Jaguar cerca di fare altrettanto. Non sappiamo se è proprio all’atleta olandese che la Jaguar si è ispirata, ma di certo non è un caso che la casa decise di rilanciare il proprio marchio producendo una vettura che per un periodo sarebbe diventata l’auto più veloce al mondo, la Jaguar XK120. Presentata al salone dell’automobile di Londra in versione roadster come prototipo sperimentale, il nuovo modello della casa inglese riscosse unanimi consensi dalla critica tanto che il patron di Jaguar, Williams Lyons, decise di produrla per il grande pubblico. Nacque così la Jaguar XK120, prodotta in dodicimila esemplari fino al 1954 e in grado di competere nelle maggiori competizioni internazionali comela 24 Ore di Le Mans, la Targa Florio, la Mille Miglia e la NASCAR.     L’animo della Jaguar XK120, inizialmente prodotta in soli 242 esemplari nella sola variante roadster a due posti (nota anche come OTS: Open Two Seater), riprendeva il carattere sportivo della Jaguar SS100, automobile prodotta fino al 1940. Era una macchina decapottabile dotata di un motore XK6 che poteva portare la vettura ad una velocità massima di 120 mph (193 km/h), ma senza parabrezza anteriore poteva raggiungere addirittura una velocità superiore, toccando il massimo per quell’epoca. Il modello roadster aveva una carrozzeria in alluminio, con telaio a longheroni e traverse in legno di frassino che riprendeva quella della berlina Mark V. Da questo modello, la Jaguar XK120 ereditò pure le sospensioni anteriori a ruote indipendenti con quadrilateri deformabili, mentre quelle posteriori avevano l’assale rigido con balestre semiellittica a foglia. Dal 1950 iniziò la produzione in serie ma, per cercare di contenere i costi, Jaguar decise di passare alla produzione della carrozzeria in acciaio, tenendo solamente portiere e cofano anteriore e posteriore in alluminio. Il cuore pulsante dell’auto rimaneva il motore da 6 cilindri in linea bialbero da 3,4 litri che erogava 160 CV di potenza ed era all’avanguardia per l’epoca. Particolari non sempre apprezzabili ma ricercati, erano lo sterzo a circolazione di sfere con piantone a regolazione telescopica, le finiture di pregio tipiche del marchio come il cruscotto in radica e gli interni curatissimi ed i freni a tamburo Alfin con alette in alluminio su tutte e quattro le ruote. Questi freni però, in caso di eccessiva usura (soprattutto in pista), perdevano temporaneamente efficacia e di conseguenza non fornivano buone prestazioni.     A partire dal 1951 furono prodotti altri...

Read More
Le auto che hanno fatto la storia: Ferrari 250 GT “Tour de France”
May25

Le auto che hanno fatto la storia: Ferrari 250 GT “Tour de France”

Il Tour de France era una corsa di cinque giorni su un percorso di 5383 km nelle strade francesi, la cui prima edizione risale al 1899. Questa competizione vedeva fronteggiarsi i migliori piloti alla guida delle migliori vetture e metteva a dura prova sia la resistenza che la versatilità dei veicoli, in un percorso faticoso che a volte meno del 30% dei partecipanti riusciva a completare. Quando la Ferrari 250 GT guidata da Alfonso de Portago/Edmont Nelson vinse il Tour de France nel 1956, gli appassionati decisero di caratterizzare il nome della vettura del cavallino rampante con il nome di Ferrari 250 GT “Tour de France” e fu così che l’appellativo “Tour de France” finì per identificare le Ferrari berlinetta prodotte dal 1956 al 1959, in 45 esemplari e cinque serie. Il prototipo di quello che sarebbe diventato uno dei pilastri del fascino Ferrari era stato prodotto nel 1954: una serie di meravigliose coupé da competizione con la carrozzeria realizzata su misura da Pininfarina. Ma rispetto a questa precedente Ferrari 250, la “Tour de France” del 1956 aveva un telaio tubolare più forte, con sospensioni e bracci trasversali, molle elicoidali e ammortizzatori al posto delle classiche balestre ellittiche. Anche il motore aveva subito modifiche, a causa delle restrizioni imposte dopo il grave incidente del 1955 a Le Mans. Nel tentativo di ridurre gli incidenti ad alta velocità, infatti, venne deciso che il motore dei veicoli da corsa poteva essere massimo da tre litri, ma nonostante questo, il motore V12 della Ferrari 250 GT Berlinetta disegnato da Gioacchino Colombo, il più piccolo dei due costruiti dalla Ferrari, era comunque in grado di supportare 240 CV e 7000 giri/min e raggiungere una velocità massima di 240 km/h a seconda dei rapporti. Grazie alle dimensioni ridotte del motore, che aveva un singolo albero a camme in testa per bancata di cilindri, il telaio tubolare poteva avere un passo di 2600 mm. Un’altra sigla non ufficiale, infatti, con la quale la Ferrari 250 GT è conosciuta tra gli appassionati è LWB (Long Wheel Base), introdotta quando un telaio più corto, di 2400 mm, sostituì il classico Tipo 508 nel 1959, dando vita ai modelli SWB (Short Wheel Base).     Il propulsore della Ferrari “Tour de France” originale era abbinato ad un cambio a quattro marce completamente sincronizzato, che poteva presentare una leva di comando o centrale o decentrata. Sulle versioni a partire dal 1958 venne, invece, installato un cambio migliorato, provvisto di comando centrale. Il moto è trasmesso da un albero al ponte rigido posteriore, disponibile con diversi rapporti. La vettura condivideva con le 250 GT “Boano” e “Ellena” le parti meccaniche come sospensioni, freni...

Read More